Il piacere di (fare) leggere

Non lasci niente di intentato per provare a stupire
Chi di te non si fida, non raggi riflessi a stento
Da vetri opachi di fuliggini e nebbie, non barbagli
Sopra metalli fuggenti, che non ti sforzi di inseguire
Né abbracci sopra la neve sporca ai lati delle strade

E quando, infine, l’ora del tuo riposo si avvicina
E non rimane che restituire l’ultimo raggio di luce
Alla notte che te lo ha consegnato, non tenti più
Di fingere quello che non sei, un pallido sole ferito
Che a fatica accarezza la schiena di un vecchio gatto

Arrivo alla luna calante
Nelle notti brevi d’estate
Passo attraverso le imposte
Sotto le porte mal serrate

Entro in tutte le stanze
Guardo e sorrido ai presenti
Tengo una mano in tasca
E un coltello stretto tra i denti

Ho tre assi da giocare
Il quarto non l’ho trovato
L’ho smarrito una sera
Distratto da un sogno sbagliato

Oltre la soglia della casa
Un caldo silenzio mi accoglie
C’è chi si agita nel letto
E chi si avvolge nella notte

Sono l’ospite di un giorno
Di un’ora o di un minuto
Nessuno mi vuole dintorno
Per non sentirsi perduto

La gatta sta giocando
Con le carte e il mio coltello
Qualcuno mi sorride
Qualcuno mi chiama fratello

Tutto quello che cercavo
L’ho nascosto giù in cantina
È giunta l’ora di andare
L’alba è già troppo vicina

Perfino questa volta ci ricasca
Non ha capito mai cosa votare
Non vota di coscienza ma di pancia
E il mal di pancia non gli vuol passare

Il pesce grosso invece va sereno
Per lui voto o non voto poco importa
Divora i pesci piccoli o li spinge
Verso la strada che credono più corta

Ma più corta non è, perché arrivati
Si scopre essere al punto di partenza
Non si va avanti, ma si è ritornati
All’inizio, alla solita emergenza

E adesso tutti i pesci boccaloni
Restano a bocca aperta, senza fiato
Come ogni volta, dopo le elezioni
Il pesce è fritto e quel che è stato è stato

La polvere che si alza dietro l’auto che corre
Nasconde ai nostri sguardi l’intravisto orizzonte
Una lepre si getta tremante tra le forre
Vorresti dissetarti all’acqua di una fonte

Ma non ti puoi fermare, ti resta solo il tempo
Di comprendere i suoni del meriggio infuocato
Di avvertire la vampa che ti consuma dentro
Di pensare: io sono, quando già ormai sei stato

Poi tra quelle colline si dissolve il ricordo
Di un’altra estate in fuga che ha in grembo un altro inverno
Rimbalza tra i cipressi e i dossi un grido sordo
Che accompagna ogni vita verso l’Istante eterno

C’è già un finale un po’ scontato
Forse la storia è conosciuta
Protagonisti un poco tutti
Ma ogni vicenda va vissuta
Senza rimpianti né rimorsi

O con il trucco o senza trucco
Saremo presto tutti in scena
Ciascuno avrà la propria parte
Ma ce ne accorgeremo appena
Siamo poi tutti grandi istrioni

C’è sempre il solito che strepita
Perché il suo ruolo non gli aggrada
Vuole parlare al Capocomico
Perché modifichi il copione
Ma il Capocomico riceve
A fine rappresentazione

Non cambia i ruoli già assegnati
Ai nomi scritti in cartellone
Ma qualche volta si diverte
A regalare un’emozione
Facendo credere a qualcuno
Di essere libero di scegliere

Niente di più si può pretendere
Per chi già ha avuto il privilegio
Di poter fare la sua parte
Gli verrà chiesto in cambio di
Firmare una liberatoria
Perché lui solo è responsabile
Di come va avanti la storia