VIE DE TRAIN

VIE DE TRAIN. Erano anni che non mi capitava di prendere un treno. l’ultima volta, a quanto ricordo, era stata per andare a Genova, partendo dalla mia sperduta cittadina del Centro Italia. Tanto per ridurre le fatiche del viaggio, insieme ad un mio amico e collega, si era pensato di fare un tratto di strada in auto e di arrivare fino alla stazione di Arezzo, risparmiandoci una serie di cambi e di relative attese. Inutile dire che quel viaggio era stato una vera odissea, con un numero incredibile di soste nei luoghi più disparati, per cambiare treno, e tempi di pecorrenza misurabili in ere geologiche. Da quella volta sembrano essere trascorsi anni luce, stando almeno all’efficiente e tecnologicizzata pubblicità delle ex Ferrovie dello Stato, oggi Trenitalia. Dovendomi, quindi, recare a Milano, sempre partendo dalla mia remota cittadina di residenza, mi è bastato consultare il sito di Trenitalia per trovare immediatamente il treno che faceva al caso mio. Ed ecco che con un paio di comodi Eurostar all’andata, e altrettanti al ritorno, sono riuscito a raggiungere il mio scopo. Tutto a posto, quindi? Neanche per idea. A fronte di un viaggio sufficientemente comodo e veloce, ad un prezzo non certo popolare, mi sono stati gentilmente offerti dall’Azienda sedili consunti e sfondati dall’uso, servizi igienici assenti o, nella migliore delle ipotesi, “da caserma”. Era dai tempi del servizio militare che non vedevo dei cessi così sporchi e mal tenuti. Anche l’aver eliminato gli scompartimenti a vantaggio degli spazi aperti non mi è sembrata una buona idea. I posti a sedere non sono certo né più comodi né più numerosi. Inoltre, si è persa del tutto quella bella atmosfera di cordialità, che si instaurava spesso tra i passeggeri che affollavano lo stesso scompartimento, dalla quale poteva nascere ogni tanto perfino qualche bella amicizia. Dove sono le lunghe ed animate conversazioni che servivano a rompere la monotonia del viaggio? Ormai la scena consueta è quella di un individuo solitario che parla con un altro essere, anch’esso solitario, attraverso il telefonino. E’ forse il caso più evidente in cui l’unione di due solitudini non fa una compagnia. Vita di treno? Vita da cani…

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LETTERATURA FAST- FOOD

“L’ultima cospirazione” di Steve Barry – Mondolibri

Leggo, dalla terza di copertina di questo volume, che Steve Barry “ha firmato un contratto milionario (immagino in dollari o, forse, sterline) per tre romanzi, il primo dei quali è, appunto, “L’ultima cospirazione”.  Ora, se una casa editrice, accorta e stimata come la Random House, è arrivata al punto di avanzare un’offerta così allettante a questo esperto avvocato, scrittore poco più che esordiente, anche se di grande successo, dovrà pure avere avuto le sue buone ragioni. Per la maggior parte degli editori, una nuova pubblicazione rappresenta, a tutti gli effetti, un investimento, che si tenta di rendere il più remunerativo possibile, valutando, fin dalla lettura delle bozze, le potenzialità del romanzo in termini di diffusione mondiale, attraverso traduzioni nelle varie lingue, e di eventuali riduzioni cinematografiche e televisive. Quelle case editrici, che hanno analizzato i gusti del pubblico mediante accurate ricerche di mercato, hanno indubbiamente il polso della situazione in merito alla tipologia di lettore medio mondiale. Sembra, infatti, non esserci più alcuna distinzione di gusti tra il lettore medio inglese, americano, giapponese, italiano, francese o russo. Grazie certamente alla diffusione, attraverso il cinema, di storie, dove quello che conta è l’azione e il colpo di scena ad effetto, lo spettatore – lettore si è omologato, o, come si direbbe oggi, globalizzato. Anziché pretendere che venga lasciato spazio alla sua immaginazione, il lettore è sempre più spesso considerato un semplice consumatore di racconti, che fa parte di un pubblico i cui gusti, a detta, almeno, delle case editrici, devono essere assolutamente soddisfatti e, soprattutto, assecondati. Lo stile di vita contemporaneo, fatto di tempi da dedicare a se stessi sempre più ridotti, non aiuta certo ad intraprendere una lettura più meditata, da degustare e centellinare in tutta calma, magari distesi su un divano, a televisore rigorosamente spento. Più che di emozioni, l’uomo contemporaneo si nutre di informazioni, in maniera compulsava, spesso bulimica, nel vano tentativo di tenere sotto controllo la realtà che lo circonda. Si tratta sempre di un tentativo destinato a fallire, con l’inevitabile conseguenza di fare avvertire maggiormente un senso di frustrazione e di impotenza di fronte alla realtà quotidiana che ci circonda. Anche lo stile di lettura si adegua inevitabilmente allo stile di vita. Così, mentre la necessità di nutrire il corpo, nelle brevi pause di una frenetica attività lavorativa, ha concesso sempre più spazio alla alimentazione fast- food, sul versante letterario si è assistito al crescere del’analogo fenomeno della “letteratura fast- food”. Una letteratura peraltro rispettabilissima, che non intendo in alcun modo stigmatizzare, perché assolve al compito altamente meritorio di avvicinare alla lettura persone che altrimenti se ne terrebbero ben lontane, evitando pericolose crisi di analfabetismo di ritorno. Insomma, si legga qualunque cosa, purché si legga. Detto questo, due parole sul romanzo. Pur essendo costruito sull’ormai scontato tema dei Templari e dei loro segreti, è tuttavia un’opera basata su una discreta quantità di documenti, e che introduce qualche elemento di novità rispetto alle ormai arcinote vicende dei cavalieri del Tempio e del loro misterioso tesoro. L’opera della fantasia non è forzata nel tentativo di dimostrare una qualche tesi precostituita, selezionando, come si fa di solito, quegli elementi che maggiormente si adattano all’ipotesi di partenza e ignorando sfacciatamente quelli che la confutano. Insomma, una lettura piacevole, anche se stilisticamente piuttosto approssimativa, difetto questo molto comune alla letteratura di largo consumo. Avrete bisogno comunque di  almeno una settimana  per venire a capo delle oltre cinquecento pagine del romanzo. Se amate le storie avvincenti e, soprattutto, avete un lungo periodo di tempo libero a disposizione, questo è il libro che fa per voi.

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PER SALVARSI LA VITA

“Zeus e altri racconti” di Valerio Massimo Manfredi – Oscar Mondadori

Perché leggere? Me lo sono chiesto spesso, ed ogni volta ho trovato una risposta diversa. Perché ogni libro che leggo mi arricchisce spiritualmente, perché non si impara mai abbastanza o, semplicemente, perché mi piace. Negli ultimi tempi, nel corso della mia lunga e faticosa degenza ospedaliera, ho scoperto che leggere può persino salvarti la vita. Non intendo con questo attribuire alla lettura un potere magico, quasi miracoloso, piuttosto la capacità di agire su una mente stanca e prostrata dalle dolorose vicissitudini di un intervento chirurgico tutt’altro che semplice, accompagnato da una degenza traumatizzante e dolorosa. Quando il corpo non risponde ai tuoi comandi ed è fuori controllo, occupato a curarsi solo di se stesso, la mente resta l’unico contatto con la realtà e con la vita. La lettura, almeno nel mio caso, ha finito per assumere così un’importante funzione terapeutica, consentendomi di mantenere un legame con il mondo, attraverso la mediazione delle parole che usiamo per descrivere quello che abbiamo dentro di noi e intorno a noi. Così, il mio ritorno alla realtà e alla vita è stato un percorso che ha attraversato varie letture, la prima delle quali è stata quella di un testo di Valerio Massimo Manfredi “Zeus e altri racconti”. Si tratta di una raccolta di storie ambientate in epoche e luoghi diversi, dalla Roma repubblicana ai tempi nostri, da Cartagine alla Turchia, passando per la Spagna medievale. Devo dire che questo libro, pur non destinato a rimanere nell’elenco dei capolavori memorabili, è servito come una specie di riabilitazione della mente, simile e contemporanea a quella che interessava il mio corpo in quel momento. Così, mentre il fisico riacquistava il suo perduto tono muscolare, lo spirito tornava a riscoprire i meccanismi tonificanti della lettura. Potrebbe sembrare, a prima vista, un’operazione apparentemente semplice e direi quasi naturale, ma, in realtà, estremamente complessa e non priva di una certa fatica. “Cosa c’è di più semplice che camminare?”, pensavo. Quando, però, le gambe e le forze non ti assecondano, ecco che anche una cosa semplice diventa maledettamente complicata. “Cosa c’è di più semplice che leggere?”, direte voi. Eppure, quando la mente è occupata a trattenere dentro di sé i pensieri che sembrano sfuggirle via, anche questo diventa qualcosa di maledettamente complicato. Ci voleva qualcosa di poco impegnativo e nello stesso tempo piacevole per ritrovare la forma fisica e mentale. Alla prima ha provveduto qualche seduta di palestra trascorsa a passeggiare sul tapis roulant, alla seconda la lettura di un testo gradevole e di non particolare impegno mentale. Mi sento in dovere di chiedere preventivamente scusa a Manfredi, per aver paragonato una sua creatura ad un tapis roulant, ma se avrà modo di leggere questo post e di immaginare anche minimamente la mia condizione mentale, dopo una settimana di terapia intensiva, sono certo che capirà. Spero, persino, che sarà felice di sapere che i suoi testi possono essere utilizzati come un utile esercizio, per riabilitare una mente stanca ed affaticata. A chi consigliare una simile lettura? Direi, soprattutto, a chi ama Manfredi, per la sua capacità di coniugare passato e presente, in una sapiente commistione, rigeneratrice per entrambi, che dona freschezza al primo e consistenza al secondo.

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AL TERMINE DELLA NOTTE

Caro lettore di questo blog, eccomi di nuovo qui. Forse ti sarai chiesto il perché di questo lungo silenzio. Il fatto è che in questo periodo sono stato troppo impegnato a prendermi cura della mia salute. E’ stata un’esperienza piuttosto dolorosa e traumatica, che sto cercando lentamente di elaborare e della quale, forse, parlerò in futuro. Per il momento, ti basti sapere che sono qui, pronto a riprendere le attività, anche se a volte il corpo non riesce ad assecondare lo spirito. Anche in questo duro periodo, appena trascorso, non ho voluto rinunciare al piacere della lettura, e di questo parlerò diffusamente nei prossimi post. La notte sta per terminare, l’alba è vicina. A presto!

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GIALLO D’ATMOSFERA

“Il procuratore” di Andrea Vitali – Edizioni Mondolibri

Un giallo senza morti né assassini non mi era mai capitato di leggerlo. Eppure, a guardare bene, questo libro di Andrea Vitali può benissimo assimilarsi ad un giallo, per quelle tracce di mistero che il narratore lascia cadere di quando in quando lungo il sentiero su cui si dipana la storia. Lettere anonime, minacce adombrate, marescialli e preti in azione, un micromondo di sospetti e sospettati, tutto questo serve a rendere l’atmosfera di questo racconto lungo (o romanzo breve) nebulosa e indefinibile, come certe brume che si possono immaginare mentre salgono dal lago e avvolgono il mondo, gli uomini e le cose. La scrittura è ancora alla ricerca di un suo equilibrio, ma la tensione verso l’esattezza è fortemente avvertibile. La narrazione cerca di trascinare l’incauto lettore dentro una fitta ragnatela di avvenimenti, dei quali non sempre si intuisce l’importanza, ma che, alla fine, compongono un quadro dal quale balza fuori in maniera netta la figura del protagonista, il procuratore, appunto, incaricato di riempire di ragazze belle e disponibili le numerose case di tolleranza, particolarmente attive nel periodo in cui la storia è collocata. Un giallo atipico, dunque, ma non troppo, un’opera prima che invita il lettore ad approfondire la conoscenza di questo scrittore, oggi nella piena maturità artistica. Se amate le atmosfere più che le trame, è il libro che fa per voi.

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TORNO SUBITO!

Non si legge più come una volta, caro lettore! Forse, paradossalmente, si legge anche più di una volta, ma si fa per dovere, non per piacere. Testi scolastici, articoli tecnici e poi circolari, comunicati stampa, direttive emanate dal dirigente, programmi e progetti, consuntivi e preventivi. Insomma, c’è poco da stare allegri. Ci sono sempre quei sette  – otto libri, letti quasi tutti d’un fiato durante la breve estate e il brevissimo inizio d’autunno, che attendono di essere presi nella dovuta considerazione. Se manca il tempo per leggere, però, manca anche quello per scrivere. Non fremere, impaziente lettore! Adsum… Torno subito.

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ALTA CUCINA

“Ad occhi chiusi” di Gianrico Carofiglio (Mondolibri)

Non mi capita quasi mai di leggere un libro su commissione. Mi capita spesso, al contrario, di leggere un libro su istigazione, che, stando almeno alla mia esperienza, è il modo migliore per fare la conoscenza di un autore. Si finisce spesso per scoprire che merita non solo di essere ricordato ma anche ulteriormente approfondito. Stavolta l’istigatore è uno dei miei quattro visitatori, al quale mi lega anche un rapporto di parentela, mio cugino Francesco. Mi ha chiesto un parere sull’opera di Carofiglio e io ho dovuto ammettere che, a parte qualche critica e qualche recensione, di questo autore non avevo letto nulla. Ho deciso di colmare la lacuna e così, rovistando nella mia biblioteca, ho scoperto di avere acquistato, qualche tempo fa, un libro di Carofiglio, “Ad occhi chiusi”, che ho letto avidamente in poco tempo. Ho scoperto così il fascino dell’avvocato Guerrieri, un personaggio le cui vicende umane e professionali hanno catturato subito la mia simpatia. Un personaggio nel quale, con le dovute proporzioni, mi riconosco moltissimo, e che ritengo possa rappresentare l’ideale estetico e, soprattutto, etico del suo creatore. Questo antieroe del quotidiano non rifugge dal confessare i propri limiti e la propria umanità, ed è questo che, indubbiamente, lo rende simpatico. Senza gesti mirabolanti, senza colpi di scena incredibili, con l’unica arma dell’intelligenza, sa opporsi energicamente all’avidità e all’arroganza di certi potenti che, purtroppo, è sempre più frequente incontrare in ogni luogo e in ogni istante della nostra esistenza. Inoltre, cosa che mi ha impressionato molto favorevolmente, la storia è narrata con uno stile fresco e personale, il cui segreto sta nel perfetto equilibrio tra il “cosa” e il “come”, tra ciò che viene narrato e le parole che lo narrano. Mentre leggevo il libro, pensavo se tra quelle righe o tra quelle parole ce ne fosse stata qualcuna che si sarebbe potuta eliminare, senza incrinare l’esattezza della pagina. Non sono riuscito a trovarne nemmeno una. Quello che penso di fare, e che consiglio anche agli altri lettori, è lasciare sedimentare, innanzi tutto, le sensazioni che questo libro ha suscitato e poi, una volta trascorso abbastanza tempo da dimenticare anche la trama, rileggerlo, per apprezzare ancora meglio la bellezza della scrittura. Se dopo la lettura di un libro di Dan Brown, la sensazione fisica è quella di essersi abbuffati di una pietanza rozza e mal presentata, stavolta mi sono sentito come dopo aver assaggiato un menu degustazione di un eccellente ristorante, gradevole al palato e leggero da digerire al tempo stesso, del quale ci si ricorda piacevolmente per diverse settimane. Il mio invito è di preferire certi piatti di alta cucina, sempre più rari, purtroppo, alle insipide e sciatte minestre riscaldate di certi best seller. La lettura è un piacere. Anche fisico.

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LA LORO AFRICA

A qualcuno dei miei quattro lettori potrà sembrare insolito, audace, eretico, forse addirittura blasfemo, accostare, seppure nella estemporaneità di una riflessione, due autori così diversi tra loro per notorietà, stile narrativo e profondità di toni. Tanto è leggero e godibile McCall Smith, quanto è profondo e introspettivo Coetzee, tanto è semplice e immediato il primo, quanto è complesso e sorvegliato il secondo, tanto è poco conosciuto, nel Gotha della letteratura mondiale, il primo, quanto è universalmente noto e stimato, il secondo, al punto da avere ottenuto l’ambito ed eccezionale riconoscimento del premio Nobel. Se, dunque, azzardo a metterli a confronto, una ragione dovrà pur esserci, ed, in effetti, c’è. È quel denominatore comune che si chiama Africa, luogo nel quale sono nati entrambi, nello Zimbabwe il primo, in Sudafrica il secondo, e del quale è profondamente intrisa la loro cultura, la loro narrazione e la loro personalità. Non si parla qui di quell’Africa languida ed esotica che ha fatto da sfondo a tanti romanzi e racconti d’avventura di autori della narrativa occidentale (forse, data la differenza di latitudine, sarebbe meglio dire “nordica”?), uno su tutti Hemingway. L’Africa in questi libri è il luogo nel quale l’uomo civile ritorna nel seno della grande Madre Natura, ritrova la sua culla originaria, rapportandosi, comunque, con questo mondo col senso della superiorità della sua cultura e dell’inferiorità della cultura africana. Oggi le frontiere sono state abbattute, le distanze – anche culturali – annullate, ma, comunque stiano le cose, gli unici autorizzati a raccontare l’Africa, restano sempre e soltanto gli Africani. Potremo leggere pagine sull’Africa di autori culturalmente più vicini a noi, ma avvertiremo sempre una sensazione di freddezza e di distanza da ciò che in quelle pagine si racconta, storie ed ambienti frutto nella maggior parte dei casi di una conoscenza di seconda mano. Alexander McCall Smith e J.M. Coetzee ci portano dentro i nuovi stili di vita e i cambiamenti, culturali e sociali, che stanno attraversando il continente africano. Nei loro libri si descrive l’evoluzione incessante e rapida della società africana, che non mostra affatto di volersi conformare agli stili di vita imposti o proposti dai colonizzatori passati e recenti, quanto piuttosto di trasformarli attraverso filtri culturali propri.   

Nel corso di queste letture, per la prima volta ho avvertito l’inadeguatezza del mio punto di vista sul continente africano, frutto di letture di libri anch’essi inadeguati ad esprimere il senso della “africanità”. Consigliati a chi soffre dell’insano desiderio di capire e di allargare continuamente il proprio orizzonte.

I libri: “Un peana per le zebre” – Alexander McCall Smith (TEA) e “Vergogna” – J.M.Coetzee (Einaudi)

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I DIMENTICATI

Nello sconnesso e confuso panorama della letteratura italiana, situata temporalmente a cavallo della seconda guerra mondiale, ha sempre assunto un ruolo prevalente la figura dell’intellettuale“organico”.
Un concetto e un termine che, oggi, richiamano alla mente, da un lato, campagne per lo smaltimento dei rifiuti cittadini, dall’altro un’idea di “biodegradabilità” della cultura. L’intellettuale come fertilizzante naturale del populismo romantico (leggi: comunismo) o del populismo tout court (leggi: fascismo). Il destino naturale dell’intellettuale organico è quello di dissolversi nel terreno della cultura che l’ha creato e di scomparire con essa. Questa linea culturale, che è stata anche una linea stilistica per gli autori che ad essa hanno aderito, è stata talmente predominante in alcuni periodo storici,  da oscurare completamente l’opera di quegli autori, i “dimenticati”, appunto, che hanno tentato di sottrarsi, spesso con successo, alla sua egemonia. Alcuni nomi a caso, ma non tanto: Delfini, Landolfi, e, in parte, Flaiano. Quale è stato il principale torto di questi autori? Quello di aver voluto ricercare una propria “linea”, una propria originalità stilistica e tematica, che hanno spesso pagato con l’emarginazione da parte della “cultura dominante”. Personalmente, credo che su tali autori e sulla loro opera, vada fatta non solo più di una riflessione, ma anche un’importante azione divulgativa tra le masse dei lettori, prima che se ne perda totalmente la memoria. Di Flaiano, in particolare, oltre ai romanzi “Tempo di uccidere” e Melampus”, vanno segnalate alcune opere a predominante stile aforistico. Una per tutte, “Diario notturno”- Adelphi, considerata a ragione una summa dell’intera opera dell’autore, che propone attraverso brevi narrazioni e folgoranti aforismi, quei temi che verranno poi ampiamente sviluppati in altri testi. Forse il carattere di Flaiano, poco incline a servilismi e a compromessi, può non avere giovato alla sua fama in vita. Rileggendolo con gli occhi di oggi, se ne capiscono perfettamente le ragioni. Personaggio, oltre che piuttosto schivo, sempre caustico nei confronti dell’establishment politico e culturale del suo tempo, non poteva non risultare sgradito a chi era abituato a sentire solo falsi cori di consenso e di approvazione. Leggendolo, un pensiero ha attraversato la mia mente: “Chissà cosa direbbe dei nostri tempi?”. Caro Ennio – permettimi di chiamarti semplicemente così – stai tranquillo. “La situazione è grave, ma non seria”. Come sempre.

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BEN RITROVATI!

Ben ritrovati ai miei tre lettori. A ferie praticamente esaurite, traccio un breve bilancio delle mie letture estive. Tra completamenti di libri già iniziati e letture ex novo, per il momento, stilo questo elenco sommario. In un secondo tempo, è mia intenzione entrare nel merito di ognuna delle opere lette. “Madamina, il catalogo è questo”: 

Osvaldo Soriano – “Triste, solitario Y final” – Einaudi

Jo Soares – “Un samba per Sherlock Holmes” – Einaudi

Alexander McCall Smith – “Un peana per le zebre” – TEA

Italo Calvino – “Lezioni americane” – Mondadori

Raymond Carver – “Il mestiere di scrivere” – Einaudi

J.M. Coetzee – “Vergogna” – Einaudi

Ennio Flaiano – “Diario notturno” – Adelphi

Fernado Pessoa – “Una cena molto originale” – Mondadori

Ellis Peters – “La penitenza di fratello Cadfael” – TEA

Nei prossimi post cercherò di entrare un po’ nel merito di ogni opera, dando magari qualche indicazione ulteriore al potenziale lettore di questi testi, facendogli conoscere la mia opinione in merito a questi libri ed a questi autori. A presto, dunque, e buon rientro al lavoro.

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