23 SETTEMBRE 1986

Esattamente trenta anni fa, l’incontro della mia vita con la mia Vita… E’ a lei che dedico questo ricordo

23 SETTEMBRE 1986

L’immagine del tuo primo sorriso
Resta impressa nel fondo dei ricordi
Come l’impronta lieve nella sabbia

Salivi quelle scale. Impertinente
Il sole di settembre illuminava
La danza del pulviscolo nell’aria

Ero lì che attendevo non so cosa
O non so chi, ma certo non un sogno
Non un domani, non una visione

Intravista altre volte attraversare
Il corridoio della delusione
Senza farsi raggiungere o toccare

Attendevo, ma il cuore non pensava
Che un sogno si avverasse, o la speranza
Prendesse corpo e salisse quelle scale

Per annullare la mia riluttanza
E ricondurmi a vivere il ricordo
Che a volte colorava la mia stanza

Dell’amore che avrei incontrato un giorno

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20 SETTEMBRE

20 SETTEMBRE

C’è qualche giorno in cui il mondo sembra più vuoto
E il tempo una muraglia insormontabile, così alta
Da rendere invisibile il passato, quando il presente
Sfoglia la sua margherita e lo ignora. E in questo
Giorno di nuvole e vento, l’eco lontana del suono
Del campanone che attraversa la valle, racconta
Una storia che non dispensa sorrisi né canzoni
Ma sorvola tacita i tetti delle case, per smarrirsi
Nelle memorie degli uomini. Poco ormai rimane
Di quei giorni, cancellati ogni torto e ogni ragione
E di chi allora perse la vita per donarle un senso
E di chi sfidò il destino per qualche ignota causa
Restano pallide impronte su muri di pietra e sangue
Che hanno serrato un mondo logorato dal tempo
Mentre attendeva immobile di affrontare l’Eterno

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NOTTURNO CON ROSA

NOTTURNO CON ROSA

La mia finestra aperta sul mondo, le parole
Appena sbocciate e subito sfiorite, le verità
Che non conosco e mai saprò, le luci spente
Nell’ultima finestra di fronte, questo silenzio
Nel quale immergo l’anima, per un fresco
Sonno ristoratore. La notte mi appartiene
Come io le appartengo, figli di uno stesso
Pensiero, fratelli discreti che conoscono
Il silenzio di ognuno e non si interrogano
Lasciando scorrere le ore di un presente
Profondo e consolatorio. E’ la mia rosa
La più struggente in questa limpida notte

(silk)

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PREPARATIVI PER UN VIAGGIO

Dedicata a chi ama viaggiare, perdere paesi e perdere se stesso, per ritrovarsi in qualche altro luogo…

PREPARATIVI PER IL VIAGGIO

La mente con la quale intraprendi il viaggio
Deve essere serena, lo sguardo fisso a scrutare
Il lontano orizzonte, orecchie e cuore aperti
Ad accogliere i battiti del mondo, desideri
Sempre più accesi di quelli che incontri per strada

Il cuore con cui decidi un giorno di partire
Deve essere leggero, liberato dai dubbi
E dai dolori che la vita ha seminato, dalla noia
Dalla volgarità del mondo in cui sei immerso
Contro la tua volontà, per il solo essere uomo

L’anima che ti accompagnerà lungo la strada
Non dovrà avere rimpianti né rimorsi, trattenuti
Fino all’istante in cui saluterai i tuoi luoghi
E sulle spalle lo zaino leggero dei giorni felici
Ad alleviare le fatiche del lungo incerto cammino

(silk)

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E’ FINITO LO ZUCCHERO

Un racconto breve, inviato a un concorso qualche anno fa, ma senza successo…

Fu quando si accorse di aver finito lo zucchero che si decise ad uscire di casa. Non lo aveva fatto quando era finita l’acqua minerale – berrò quella del rubinetto, aveva pensato. Né lo aveva fatto quando era finito il vino – magari, una volta tanto, riesco anche a smettere di bere. Lo zucchero no, quello non poteva mancare, l’acqua minerale sì, il vino sì, lo zucchero no. Uscire, però, gli costava fatica, uscire significava lavarsi, vestirsi, pettinarsi anche, pettinarsi quel cespuglio ispido che era diventata la sua testa. Uscire era una gran fatica, ma per lo zucchero, solo per lo zucchero, lo avrebbe fatto. Allora, un bagno, ma un bagno no, richiede troppo tempo. Una doccia allora, sì, una doccia, poi cercare camicia, pantaloni, biancheria, calzini puliti, ce ne deve essere ancora un paio da qualche parte. Passò un bel po’ di tempo prima che si ritrovasse sulle scale di casa, meravigliato di vederle ancora lì, meravigliato persino che ci fosse ancora qualcosa, oltre le scale, fuori di casa.

Il giardinetto, con le siepi basse di nuovo da tagliare, anche quello era ancora lì, i fiori nel giardinetto, freschi, qualcuno doveva averli innaffiati tutti i giorni, lui non aveva avuto tempo per quello, non aveva avuto tempo per niente. Tranne che per Elena, tutto il suo tempo – quanto ne era passato? – era stato per lei, tutto il suo tempo, fino a quando era mancato lo zucchero. Prima era mancato il vino, era mancata l’acqua minerale, e prima ancora era mancata Elena, ogni volta lui aveva sempre pensato: “Farò senza il vino, senza l’acqua minerale. E anche senza Elena”. Fino a quando era mancato lo zucchero. Non era uscito di casa, neppure quando era mancato il vino o l’acqua minerale, neppure quando era mancata Elena. Al vino e all’acqua minerale non ci aveva pensato nessuno, lui solo, ad Elena ci avevano pensato in molti, alcuni li conosceva, altri non ricordava di averli mai visti. Visi lunghi, qualcuno pallido, occhi rossi. I suoi non li aveva guardati, non gli mancavano.

Vide il cespuglio delle rose, un paio di boccioli ancora chiusi sulla cima di rami senza foglie, accanto a quello che rimaneva di un fiore, tre petali bianchi, scossi dall’aria mossa dal passaggio delle auto. In quel momento se ne staccò uno, rimase per un breve istante sospeso nell’aria, poi cadde, planando quasi in verticale sopra la siepe incolta. Lo guardava cadere così, come aveva guardato Elena, quando il coperchio di legno aveva nascosto il suo viso per sempre. Ad un tratto pensò che non aveva ancora pianto, doveva essersi dimenticato, o forse gli erano mancate le lacrime, adesso poi gli era mancato persino lo zucchero. Il sole aveva appena superato il tetto del palazzo di fronte, la luce improvvisa lo costrinse a strizzare gli occhi. I limoni, anche quelli erano finiti, ce n’erano voluti quasi cinque ogni giorno per Elena, quella sete che non smetteva mai di bruciarla. Li strizzava così, tra le dita, mentre lei lo guardava e sorrideva con quel poco di sorriso che era rimasto sulle labbra secche.

Si passò una mano davanti al viso, come per togliersi la tela di un ragno, la ritirò bagnata. Si appoggiò al muro, proprio accanto alla buca delle lettere, passò di nuovo la mano davanti agli occhi, era sempre bagnata. Lo zucchero. Si ricordò che era finito, ma per quello adesso c’era tempo.

 

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PIAZZA VERDI

Dedicata agli amici che hanno condiviso quelle ore e quei luoghi, affollando la mia solitudine…

PIAZZA VERDI

Un freddo sole di gennaio mi accolse
Tagliava a mezzo la piazza – così la ricordo
Sconosciuto il futuro, come quella gente
In fila intenta a conversare – tutti si conoscevano

A malapena sapevo chi fossi e perché
La mia vita avanzava a passi incerti – ricordo
Mi avventuravo sul sentiero invisibile
Di una precaria adolescenza

L’indecifrabile colonna di Pomodoro
Indecifrabile come è solo la vita, immagine
Di sogni incompiuti e smozzicati, lanciava
Sopra il selciato un’ombra inquietante

Mai prima mi ero sentito così solo
Nemmeno quando con la valigia in mano
Attendevo l’arrivo del treno – ricordo quanto freddo
Dentro i miei abiti e nel profondo del mio cuore

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AI GIARDINI MARGHERITA

AI GIARDINI MARGHERITA

Quando in una primavera quasi estiva
Attraversando i giardini Margherita
Ci fermavamo a osservare le foglie
Crescere giorno dopo giorno sui rami
E la stagione profumava di bellezza

Quando un sole nascosto all’orizzonte
Annunciava il ritorno della sera
E noi ci lasciavamo vivere ogni istante
Senza curarci di cosa fosse il dopo
E delle vite che ci passavano accanto

Quando sopra la nostra anima inquieta
Si posava il silenzio e la ragione
Ne riprendeva possesso, quando l’alba
Ci trovava per strada, sapevamo che vivere
Sarebbe stato infine un’altra cosa

E quando l’avremmo scoperto e conosciuto
E dei giardini l’unico ultimo ricordo
Fosse rimasto appena un nome, allora forse
Ci saremmo fermati a ripensare
A quelle gemme tenere sugli alberi

A quei silenzi che ci facevano tremare

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RICORDO D’ESTATE

RICORDO D’ESTATE

Ricordo, d’estate andavamo
Verso spiagge segrete, su sabbie
Roventi, trascurate
Dal vociare del mondo

Ricordo, mi tornano in sogno
Certi tramonti infuocati
In cui sedevamo in silenzio
Ad ascoltare i passi del tempo

Ricordo, non c’era mai niente
Da fare o da decidere
C’era soltanto da attendere
Che la vita volesse sorridere

Ricordo, ma ormai sono solo
A ricordare, il tempo ha deluso
Quel sogno che amavamo sognare
E ogni ricordo è confuso

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7 Settembre

Ci hai lasciato due anni fa, ma la tua presenza è sempre più viva.  E’ così che voglio ricordarti… Ciao, babbo.

7 SETTEMBRE

Eccoci qui di nuovo, eccomi ancora solo
A ripensarti, a rinverdire i ricordi, troppi
Per poterli comprimere nel solito silenzio
Che ci apparteneva. Tu e io eravamo simili
Poche parole misurate e molti aperti sorrisi
Per contrastare il mondo a volte ostile, andare
Avanti, sempre. Ricordi opachi ci legavano
I tuoi, di un tempo prima di me, riversati
Come un fresco torrente di seriche parole
I miei di te come eri, e come a volte mostrassi
Il tuo orgoglio di padre nel parlare del figlio
Già uomo fatto e istruito. Forse saresti stato
Qualcun altro in qualche altro tempo
Più generoso del tuo, in qualche altro luogo
Quando l’umanità sarà pronta a comprendere
Cosa sia il bene e quanto servano al mondo
Quegli uomini che lo coltivano. Ma questo
Ti era stato concesso e questo hai accettato
Fino in fondo, e non hai mai preteso compensi
In cambio del tuo donarti, una stretta di mano
Era per te il più ambito dei premi. La vita
Infine, ti ha risparmiato il dolore
Di soffrire per qualcosa che manca,
Quando la tua memoria fin troppo colma
Poteva esserti un fardello insostenibile
Così i ricordi si sono fatti lievi
E, giorno dopo giorno, infine ti hanno abbandonato
Libero di immaginarti un presente
Senza dolori né tristezze e non pensare
A chi ci aveva già lasciato, né a quel domani
Che si sarebbe chiuso in un lieve respiro

 

 

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La tua Africa

Oggi avresti compiuto cento anni. Voglio ricordarti con questa foto giovanile, del 1939, in partenza per quell’Africa Orientale di cui mi avresti parlato continuamente, con ricordi via via più consumati col passare del tempo. Avresti ritrovato la tua casa soltanto dopo sette anni, passando attraverso mille peripezie e mille avventure. I miei versi sono dedicati a te.

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LA TUA AFRICA

A ventiquattro anni anche il deserto può sembrare
Ospitale, amichevole persino, ogni cosa nuova
Ti commuove e ti meraviglia. Credi che questo
Possa durare all’infinito, fino a che non impari
La dolorosa solitudine della morte. Invano tenti
Di nasconderti nel più riposto angolo del mondo
Verrà a conoscerti anche lì, a ricordarti che esisti

Così, la tua Africa, quella che la retorica del regime
Chiamava la Quarta Sponda o l’Impero, ti apparve
Un abbagliante sogno giovanile. Dentro il tuo sguardo
Apparizioni di belve misteriose, luoghi mai immaginati
Così diversi dalla tua quieta campagna, aridi e roventi
Dove ogni notte si animava di stelle e fremiti di luci
In un buio senza principio né fine, rotto da mille grida

Ed era quella l’Africa che avresti raccontato un giorno
Agli occhi sgranati di un bambino, sospeso nel sogno
Di un mondo che non avresti mai più rivisto, timido
E sorpreso da quella vita che ti era stata così amica
Da ricordarti, quando di molti si era infine dimenticata
E il colore stesso della tua voce cambiava, quando
La tua Africa, tenera e confusa, ti scardinava il cuore

 

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