“Palla di Sego e altri racconti” di Guy de Maupassant (Acquarelli)
I miti, soprattutto quelli più comuni e diffusi, sono sempre duri a morire. Per me, cinefilo impenitente, oltre che appassionato lettore, uno tra i più resistenti è quello di “Ombre rosse” di Ford, protagonista un giovanissimo John Wayne, non ancora assurto a simbolo della retorica conservatrice.
La trama di questo film è tratta – molto liberamente, per la verità – dal racconto di Maupassant “Palla di Sego”; è stato anche questo il motivo che mi ha spinto a prendere in mano il gradevole -anche esteticamente – libretto, che contiene tre racconti di Maupassant, tra i quali, appunto, quello in oggetto. L’ho letto quasi d’un fiato, tale è l’agilità narrativa e la limpidezza della prosa, dalla quale non riesci a staccarti che a fatica. Neppure il sonno incombente, giustificato dall’ora tarda alla quale, di solito, hanno inizio le mie letture, ha potuto avere la meglio sulla fascinazione del racconto.
La novella, una piccola vicenda umana calata nel contesto della Grande Storia, racconta una storia lineare e semplice. Un campionario di varia umanità si ritrova a bordo di una diligenza che dovrebbe portarli oltre le linee del fronte della guerra franco-prussiana (anno 1870), verso la salvezza e la tranquillità per alcuni, verso buoni affari per altri. Una donna di dubbia reputazione, ma di buon cuore, posta in mezzo a questo branco di lupi, viene spogliata della sua umanità, e costretta a diventare merce di un indegno baratto, per garantire agli altri il quieto vivere ed il proseguimento del viaggio.
Questa potrebbe essere, in sintesi, la trama del racconto, se non fosse che così facendo finiremmo per dimenticarci di tanti piccoli dettagli che, messi insieme, costituiscono il grande affresco di una società senza tempo e senza luogo, quella in cui il debole e il generoso devono sempre soccombere di fronte alla protervia e alla volontà di sopraffazione, che sembrano i caratteri distintivi delle classi dominanti di ogni epoca e di ogni paese.
Nel finale, al pianto sommesso di Boule de Suif fa da contrappunto il fischiettare insistente di uno dei viaggiatori che, con le note della “Marsigliese”, ricorda agli altri, arricchiti dai numerosi loschi affari fatti nel corso del Secondo Impero, che il cambiamento che temono è vicino.
Ricordando la scena finale di “Ombre rosse” e accostandola a quella di "Boule de suif", non può sfuggire lo stridente contrasto tra due mondi e due culture, l’Europa di fine Ottocento e l’America del New Deal. Il lieto fine diventa una necessità per la società americana che sta tentando di risollevarsi dalla Grande Depressione. Per Maupassant,osservatore attento e disincantato della società del suo tempo, è invece qualcosa da rifuggire, una nota falsa e stonata che potrebbe incrinare la perfetta musicalità dell’intero racconto.
L’inizio del percorso letterario di Maupassant è folgorante, lo stile è sicuro, senza incertezze, la capacità di indagare nell’animo umano già matura. L’equilibrio del testo letterario è perfetto, tutto giocato su un’accurata scelta lessicale e sintattica che bandisce i fronzoli e la retorica.
Partito sotto le insegne del naturalismo, dopo un intenso percorso letterario, Maupassant approda sulle sponde del soprannaturale e del fantastico degli ultimi racconti.
La parabola che congiunge la tangibile umanità di Boule de Suif alla misteriosa Horla, entità di un mondo parallelo, sembra la stessa che ha seguito l’esistenza dello scrittore, dalla vitalità della giovinezza fino al decadimento psichico finale, come se la sua mente rifuggisse da quella realtà che all’inizio lo aveva così affascinato e turbato, fino a rifugiarsi in un universo meno doloroso ma certamente più terribile.
In questa fase, Maupassant appare una specie di precursore di Lovecraft, un altro scrittore che spalanca le porte di un mondo che vive e si agita nelle insondabili profondità delle nostre menti, un mondo dal quale siamo respinti ed attratti al tempo stesso.
Da non perdere per chi ama la bella scrittura, da conoscere assolutamente per chi trova nella letteratura una delle ragioni del dovere di esistere.