“Papà Goriot” di Honoré de Balzac (Sansoni)
L’estate, si sa, porta con sé tempi lunghi, adatti a meditazioni e riscoperte. Se non fosse per il gran caldo che continua a tormentarci da qualche anno, potrei senz’altro considerarla la mia stagione preferita.
Del resto, perché non preferire alle altre una stagione che ti offre tutto il tempo che vuoi per dedicarti al tuo sport più amato? Perché, è inutile fingere di ignorarlo, la lettura è un vero e proprio sport per la mente.
A cosa giova, del resto, trascorrere ore in palestra per scolpire il proprio fisico, quando poi la mente rimane inesorabilmente vuota, per oggettiva mancanza di tempo e, aggiungo io, di volontà? E poi, lo sport non è divertimento, diletto, passatempo? Nessun lettore può negare che è proprio quello che la lettura è capace di dargli.
Riguardo alla sterminata platea dei non lettori, l’invito a dedicarsi di tanto in tanto anche a questo sport è quanto meno pressante. Il non-lettore, avendo riscoperto in lui, anche solo per qualche ora, il lettore di un tempo, al termine della sua fatica si sentirà rigenerato, persino un’altra persona, diversa da quella che era prima. Provare per credere.
Quanto a me, che lettore lo sono sempre stato, e mi auguro di restarlo per parecchio tempo, non trovo migliore esercizio mentale di quello di affrontare la lettura dei classici. “Classici”: ecco una parola da non pronunciare mai di fronte ad un non-lettore. Di colpo sentirà salire in lui quell’ansia che lo prendeva quando a scuola il professore diceva: “Aprite il libro a pagina…”. Il libro in questione era, naturalmente, un classico, che veniva immancabilmente analizzato, nello stile e nella struttura del periodo, vivisezionato, commentanto, infarcito di note a margine, tanto che alla fine se ne andava del tutto il gusto di leggerlo.
Per il non-lettore il classico è un incubo ricorrente, spesso la causa prima dalla quale è nata la sua vocazione di non-lettore.
Il lettore “forte”, al contario, mangia letteralmente “classici” a colazione, pranzo e cena, non trascurando mai a questo proposito il piccolo vezzo di dire che lui il classico lo sta “rileggendo”. Come se non averlo letto fosse una macchia indelebile sul suo onore di lettore. Ammetto, personalmente, di non averne letti parecchi di questi classici, pilastri della letteratura mondiale, ma devo dire che al tempo stesso sono quasi felice di non averli letti in un’età in cui sarei potuto arrivare al punto di detestarli e persino ad odiarli. Ci vuole tanto esercizio per permettersi di affrontare un classico, come ci vuole tanto allenamento per correre la maratona di New York.
Debitamente allenato, attraverso la lettura di non-classici o di probabili futuri classici, l’estate scorsa ho cominciato ad affrontare in maniera sistematica l’opera di un grande dell’Ottocento francese, Balzac. Come tanti altri, immagino, mi ero limitato finora ad assaggiarlo, degustandone alcune pagine qua e là, dalle quali mi ero già reso conto dell’inevitabilità di incontrarci in un futuro prossimo.
Del libro, al termine della lettura, mi sono rimaste impressioni molto vivide, soprattutto quelle delle pagine che descrivono ambienti e personaggi. Sono queste le pagine in cui l’autore dà il meglio di sé, seconde soltanto a quelle dei dialoghi tra i personaggi, pagine perfette e stilisticamente ineccepibili. Quando si tratta, però, di rappresentare l’azione, Balzac lo fa come se fosse una inevitabile seccatura, un dovere da assolvere nei confronti del lettore, che, per il solo fatto di acquistare il suo libro, ha diritto ad una trama da poter raccontare nel corso di una conversazione da salotto.
Quanto ai personaggi, di alcuni dei quali lo scrittore sembra proprio subire il fascino, ce ne sono di quelli che non sfigurerebbero affatto in una “Commedia Umana” ambientata in questi tempi. Il più inattuale rimane certamente quello che dà il titolo al libro, quel papà Goriot che immola sull’altare della vanità e della dedizione alla causa delle figlie il suo patrimonio e persino la sua stessa vita. Difficile immaginare genitori simili tra i nostri contemporanei. Un libro che, nonostante il tempo trascorso, rimane di sconvolgente attualità, con personaggi da amare e detestare al tempo stesso, e nel quale nobildonne e arrivisti sono degni antenati e precursori di calciatori e veline.
Perché leggere i classici? Per rispondere a questa domanda, prendo in prestito le parole di Italo Calvino: “I classici sono libri che quanto più si crede di conoscere per sentito dire, tanto più quando si leggono davvero si trovano nuovi, inaspettati, inediti”.
Un consiglio, dunque, come sempre a conclusione: la prossima estate, provate a riprendere in mano uno di quei libri che avete sempre odiato, perché avete dovuto “studiarli” a scuola, e limitatevi semplicemente a “leggerli”. Scoprirete che voi, e loro, siete cambiati.