“Come il miele sugli spiedini” di Elisa VAGNARELLI (Bertoni Editore)
“Che fine fanno i sogni dei bambini?”. È la domanda che mi sono posto spesso, durante la lettura del romanzo di Elisa Vagnarelli, e alla quale ho provato a trovare una risposta tra le pagine del libro. L’amara considerazione che le tempeste dell’esistenza quotidiana li frammentano in mille pezzi mi ha accompagnato per gran parte della storia. Intanto che scorrevano le pagine, mi veniva fatto di paragonare l’esistenza dei protagonisti a quella di tante persone che ho conosciuto e che conosco. Giovani coppie in crisi per aver dato troppo peso all’apparire piuttosto che all’essere; anziani che stentano a trovare un proprio ruolo e una propria collocazione, in una società che ha fatto del giovanilismo la propria bandiera e del sembrare la propria maschera; bambini per i quali poter vedere i genitori anche per mezza giornata è diventato ormai un miraggio, sommersi di regali costosi quanto inutili e divisi dalle rivalità tra i loro genitori.
Ho ritrovato in queste pagine la stessa “scrittura fresca” dell’esordio di Elisa, “Galeotto fu l’SMS”, che avevo brevemente recensito in occasione della sua uscita, ormai sedici anni fa. Stavolta, il tempo ha provveduto a scombinare un po’ le carte, così, anziché seduto tra il pubblico presente all’evento, mi sono trovato – e aggiungo: con estremo piacere – a rivestire il compito di partecipante al tavolo dei presentatori, in un pomeriggio di fine febbraio quasi primaverile. È stata anche un’occasione per parlare della bellezza della scrittura, un modo di salvarsi la vita che non richiede l’uso di farmaci, anzi, è essa stessa un farmaco, senza altri effetti collaterali se non il continuo impulso a scrivere in ogni istante di tempo libero.
Ma, tornando al romanzo di Elisa, la narrazione nella prima parte è ambientata in interni, dei quali i personaggi sembrano prigionieri, come se le loro esistenze fossero bloccate e il fluire delle loro vite interrotto. Si percepisce amarezza, più che dolore, al massimo un dolore attutito dalla routine quotidiana. Anche la scrittura sembra piegarsi alla narrazione, utilizzando in prevalenza modi verbali congiuntivi e condizionali, ad esprimere dubbi e rimpianti nella prima parte, poi tempi e modi più solidi, più adatti ad esprimere certezze e possibilità in un finale decisamente positivo.
“Come il miele sugli spiedini” è una parabola della società attuale, fatta di un continuo inseguire la felicità e il benessere, quando spesso lo abbiamo proprio davanti agli occhi. È questo il messaggio che Elisa vuole diffondere in una società sempre più stanca e delusa, indicandoci il cammino da seguire per riportarci sul sentiero della felicità per le piccole cose.
Si avverte una sorta di scollamento, quasi un deciso voler voltare pagina, fra la prima parte, più tormentata e problematica, e la seconda, più serena e consolatrice, come se per l’autrice fosse più facile calarsi in una situazione da commedia piuttosto che da tragedia, raccontare la bellezza della vita piuttosto che il male dell’esistenza, quel dolore che avvolge l’anima di chi cerca se stesso e non si trova. Chi cerca, insegue una stabilità, un senso, che nella vita rappresenta in genere un’utopia, un desiderio perennemente insoddisfatto: Tonio un senso alla sua vecchiaia, Luca un senso al suo lavoro e Pietro un senso al suo essere bambino. In tutta la storia, le donne sembrano apparentemente confinate a ruoli secondari, mentre i protagonisti sono maschi, con i loro grandi e piccoli problemi di ogni giorno e di ogni esistenza. Ma, quando tutto sembra ormai congelato in un eterno presente, giungono in soccorso agli umani due protagoniste femminili: il deus – anzi, la dea – ex machina, la regina delle api e la maestra Simona. Ma il perché del titolo e il come tutto questo avvenga dovrete scoprirli da soli nell’unico modo sensato: leggendo il romanzo