Capita spesso, nel nostro sempre meno amato Paese, che qualche evento mondano o culturale, capace di colpire la fantasia dei miei connazionali, diventi opportunità per esercizi di critica particolarmente arditi. Tutti, addetti ai lavori o meno, si sentono in diritto o in obbligo, nella circostanza, di far conoscere la propria opinione sull’evento. Siamo, insomma, un paese di opinionisti, oltre che di commissari tecnici della Nazionale di calcio. Così è accaduto anche in occasione dell’uscita sugli schermi de “La grande bellezza”, anche se i critici occasionali si sono limitati per lo più ad ascrivere il film alle categorie standard del “Mi è piaciuto – Non mi è piaciuto”. E, fino a qui, niente di male, la critica, del resto, è libera, se non fosse per quel vezzo, non saprei dire se esclusivamente italico, di voler trasformare una semplice e comune opinione in una verità assoluta. Personalmente, non ho mai posseduto simili certezze, né, tanto meno, la pretesa di essere determinante per la comprensione di qualcosa. Ognuno comprende ciò che comprende, a modo proprio: il resto sono convenzioni comunicative. Non intendo, perciò, vivisezionare il film, quanto piuttosto provare ad entrare in sintonia con l’autore.
Credo che l’esperienza della Grande Bellezza sia comune a tutti gli esseri umani. C’è sempre almeno un istante della nostra vita a cui torna con maggiore insistenza il ricordo, un istante così pieno e perfetto da averci fatto vibrare di gioia e di inquietudine al tempo stesso. “Cosa mi sta succedendo?”, ci saremo chiesti di sicuro in quel momento, più o meno con queste parole. O meglio, ce lo ha chiesto quel noi stessi con cui, spesso inconsapevolmente, intratteniamo una conversazione. È quella voce che a volte vorremmo far tacere, soprattutto quando ci rimprovera per un atteggiamento di presunzione eccessivo, per un gesto di scortesia, per una risposta sgraziata a chi voleva semplicemente comunicare con noi.
Per rispondere alla domanda: “Che cos’è la Grande Bellezza”, proviamo a frugare nei ripostigli della memoria, alla ricerca di quegli istanti “perfetti” in cui è sembrato che il tempo fosse davvero sospeso. Personalmente, ne potrei citare decine, forse centinaia; del resto, il numero di istanti nella vita di ognuno è pressoché infinito. Invito, naturalmente, anche i miei cinque lettori a provare a fare altrettanto. Ecco i primi dieci che sono immediatamente riaffiorati:
- Una sera di primavera, sul ponte Carlo, a Praga, mentre il sole tramonta;
- Un pomeriggio di prima estate, su un prato verde in collina, a Bologna, con tutta la città ai miei piedi;
- La visione dei quadri di El Greco a Toledo, con quei corpi allungati dei martiri, protesi verso il cielo;
- Una notte di plenilunio, a Gubbio, con il cielo coperto di piccole nuvole in movimento, dai contorni disegnati dalla luce della luna;
- Un pomeriggio di fine estate, con il sole quasi al tramonto, su una spiaggia greca (c’è una ragazza che gioca tra le onde);
- Un tardo pomeriggio di inizio luglio, mentre davanti all’altare di San Crispolto a Bettona, pronuncio il mio sì con Teresa;
- Tutti, ma proprio tutti, i momenti di un viaggio in Austria, sempre con Teresa, nell’estate del 1997;
- L’istante di quel gennaio del 2007 in cui mi risveglio, dopo alcuni giorni di coma farmacologico, e mi sorprendo di essere ancora vivo;
- Una notte d’estate, in visita all’Alhambra di Granada, mentre sfioro una colonna del portico e sento, sotto la mia, la mano che l’ha toccata secoli prima di me;
- La prima volta che, aprendo un libro, scopro di saper leggere.
Incontrare la Grande Bellezza, l’archetipo di ogni nostra idea di bellezza, è un vero e proprio dono degli dei; ma tutti i doni degli dei hanno un prezzo – a proposito: avrei dovuto aggiungere all’elenco anche il mio incontro con la poesia e la prosa poetica di Pessoa. Il prezzo del dono è la tristezza, che ci avvolge dopo avere conosciuto la Grande Bellezza, in tutti gli istanti che trascorriamo nell’attesa che possa tornare. Il prezzo è anche il dolore di non riuscire a condividere quell’istante perfetto con qualcun altro, perché è destino di ognuno di noi essere soli nella bellezza e nel dolore.
E qui potrei anche chiudere, se non fosse per qualcosa che mi urge dentro, la sensazione che forse abbia voluto personalizzare un po’ troppo il “messaggio” del film. È quel me stesso che colloquia abitualmente con me che lo fa notare. Al che rispondo: è vero, forse ho personalizzato un po’ troppo. Ma non sarà, forse, perché l’uomo è misura di tutte le cose e il mondo che ci circonda è una nostra personale rappresentazione? – un’altra bellezza non aggiunta all’elenco: il mio primo incontro con Schopenhauer. E tante altre ne ho omesse! Ho rinunciato da tempo ad ogni pretesa di universalità e giudico folle volere esserlo.
E qui termino davvero, non posso andare oltre. Scusate: la Grande Bellezza mi commuove, sempre.