Non me ne vorrà la giovane coppia di turisti con cagnolino, incontrata nella passeggiata mattutina, se li assumerò a paradigma dell’attuale frenetico esistere. Non hanno responsabilità né meriti per avere suscitato queste riflessioni, ogni responsabilità, o merito, che sia, è da attribuire alla semplice casualità.
Veniva questa giovane coppia da non so quale visita affrettata ad una qualche cittadina dei dintorni, alla quale stava per fare seguito un’altra assai simile alla cittadina nella quale mi trovavo. Il programma della giornata, piuttosto intenso a dire il vero, prevedeva, a quanto ci è stato possibile apprendere, un’ulteriore visita ad un’altra località poco distante e, in seguito, con un tragitto valutato in circa un’ora e mezzo d’auto, l’arrivo in una nuova località turistica, anche questa da visitare, almeno nelle intenzioni.
Qui si esauriscono le informazioni raccolte attraverso frammenti di conversazione, ma si può tranquillamente supporre – almeno fino a prova contraria – che l’elenco dei luoghi da visitare non si esaurisse a quelli nominati. Un comportamento ossessivo – compulsivo, causa ed effetto del vivere attuale? Può darsi, ma quello che mi ha dato da pensare è stato il riaffiorare alla memoria di episodi analoghi, risalenti a due decenni prima, quando la sindrome da visitatore ossessivo non era così comune nella società dell’epoca.
Località: castelli della Loira, turisti affannati che vagano da un antico maniero all’altro, nel tentativo di stabilire un improbabile primato di visite. Noi, viaggiatori amanti della lentezza, desiderosi di assaporare le atmosfere dei luoghi che raggiungiamo al termine di brevi trasferimenti, siamo all’ingresso di un nuovo edificio storico, da visitare con tutte le regole, guida in lingua originale compresa.
Scendono, dunque, da un’auto di un modello che non saprei definire, ma sicuramente non alla portata di tutte le borse, i quattro moschettieri, intesi più che altro come “cacciatori” di mosche, tipici insetti del posto unitamente alle zanzare. Uno dei quattro estrae dallo zaino una macchina fotografica e impone agli altri tre di mettersi in posa all’ingresso del castello, in posizione strategica, tale da rendere visibile la scritta che indica nome e località dell’antico maniero. Scattata rapidamente l’istantanea, il fotografo dilettante commenta: “E con questo fanno venticinque!”. Dire che rimaniamo esterrefatti è dire poco, per noi venticinque è il numero magico, l’obiettivo che ci siamo assegnati nell’arco di tre settimane di intense e minuziose visite. Per curiosità ci accostiamo al quartetto e chiediamo: “Da dove venite?”. Detto il nome di una cittadina nell’hinterland di una grande città del nord, ci confermano le venticinque “visite” già effettuate, nonché le altre tre che intendono effettuare nell’arco della giornata. Sempre per curiosità chiediamo da quanti giorni sono in Francia. “Quattro giorni, e abbiamo in tutto una settimana di vacanze”. Salutiamo i cacciatori di immagini, pronti per ripartire verso una nuova meta e un nuovo trofeo, e varchiamo sconsolati la soglia dello storico edificio, alla cui visione dedicheremo non meno di due ore.
Fossimo stati un po’ più profetici, avremmo dovuto intuire fino da allora la piega che stavano prendendo le cose nel nostro amato paese, quale involuzione stesse subendo la specie homo italicus e quali conseguenze questa involuzione avrebbe comportato. Col senno del poi, constatiamo che la superficialità, l’ignoranza, la volgarità dei modi sono frutto di quegli atteggiamenti che cominciavano a farsi largo proprio allora in quelli che all’epoca era nostri quasi coetanei. Che qualche anno di meno avrebbe fatto una tale differenza non saremmo mai stati in grado di immaginarlo. L’ossessione di possedere il mondo attraverso la sua immagine virtuale si è impadronita fin da quei tempi di molti di noi. Il risultato è stato un deteriorarsi dei rapporti umani, dovuto soprattutto all’incapacità di dominare il proprio tempo. Dall’introduzione dell’orologio in poi gli uomini sono stati sottomessi al tempo, all’implacabile scandire dei secondi, dei minuti e delle ore. Da strumento capace di conciliare le esigenze di ciascuno con quelle degli altri, stabilendo per convenzione che il tempo, come la Legge, fosse uguale per tutti, l’orologio è diventato il tiranno che impone pesanti tributi alle nostre vite. Come ogni oggetto, però, l’orologio non possiede un potere in sé, siamo noi che glielo abbiamo attribuito, consegnandoci interamente a lui senza opporre la minima resistenza, compresi quei momenti in cui sarebbe doveroso ignorarlo.
Ma, per tornare alla coppia da cui siamo partiti, e ripensandoci ora, forse avrei potuto dare loro qualche buon consiglio su come godere a pieno le proprie vacanze. Prima di tutto avrei suggerito di togliersi l’orologio e metterlo in una tasca profonda, dalla quale farlo uscire non più di un paio di volte al giorno, tanto per sincronizzarsi con gli orari dei ristoranti. Inoltre avrei potuto invitarli a sostare più a lungo nello stesso posto, per cercare di assorbirne quante più sensazioni possibili, perché sono le sensazioni raccolte e non le immagini memorizzate in una macchina fotografica che fanno la differenza tra un viaggiatore e un turista. L’unico inconsapevole e incolpevole in tutta questa vicenda è il cagnolino, soggetto agli umori e alla fretta dei suoi padroni, a cui potrebbe opporre soltanto l’impellenza delle sue necessità fisiologiche. Dei tre, mi è sembrato il più saggio, quello che sembrava avere capito tutto. Se avessi posseduto i rudimenti della lingua canina e avessi potuto interpellarlo sul significato della vita, mi avrebbe senz’altro risposto: “La vita è lasciare che la mano del Tempo accarezzi dolcemente la tua pelle”.
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