“Che paese, l’America” di Frank McCourt (Adelphi)
Ci voleva Frank McCourt per riconciliarmi con il mio blog e farmi tornare a scrivere di un libro. Mi aveva già affascinato con “Le ceneri di Angela”, per via di quello stile immediato che arriva prima allo stomaco, poi al cuore e, infine, dopo lunga ed attenta digestione, al cervello. L’immediatezza è quasi sempre – o sempre! – frutto di spontaneità e di sincerità, come deve essere per un libro a metà tra autobiografia e confessione. Le sue pagine sono senz’altro degne di apparire accanto ad altre ben più onorate ed illustri nella letteratura di tutti i tempi e di tutti i luoghi, pagine che possono essere tratte ugualmente dalle “Confessioni” di Agostino o da quelle di Jean-Jacques Rousseau.
Per avere conferma di queste mie impressioni epidermiche, ho provato ad aprire una pagina a caso dell’opera di Rousseau e vi ho ritrovato le stesse sensazioni, freschezza, immediatezza e spontaneità, rimaste intatte anche a distanza di secoli. Le vicissitudini personali e familiari di McCourt vengono raccontate con gli stessi toni con cui Rousseau descrive le sue avventure di gioventù, quando il caso e una buona dose di faccia tosta lo fanno entrare al servizio di nobili e prelati come precettore e segretario.
Il fatto che Rousseau, McCourt e il sottoscritto (si parva licet!) abbiano dedicato e stiano tuttora dedicando (solo il sottoscritto, per ovvi motivi anagrafici!) la loro esistenza al difficile mondo dell’educazione, contribuisce senz’altro a farmeli sentire più vicini. E’ impossibile non identificarsi in certe situazioni descritte nelle pagine di McCourt, ad esempio il primo approccio con una scolaresca, in qualità di docente, così simile per certi versi al mio primo giorno da insegnante in un Istituto Professionale. Al preside, che invoca il rispetto delle procedure e che ricorda delle sue lontane e limitate esperienze didattiche quanto lo smemorato di Collegno doveva ricordare della sua esistenza precedente, non si può che opporre l’arma della fantasia, del coraggio e, soprattutto, dell’altruismo, di quel rapporto empatico che si instaura in un’aula scolastica con qualcuno che si avverte al tempo stesso così estraneo e così simile a noi.
C’è poi un altro aspetto delle pagine di McCourt, e, in qualche modo anche di Rousseau, che mi affascina e me li fa sentire così vicini: la storia travagliata di un’infanzia difficile. A conti fatti, dei tre, io mi considero il più fortunato, perché ho sempre potuto contare sulla presenza rassicurante di entrambi i genitori, cosa che non è accaduta né per Frank né per Jean-Jacques. Per il resto, difficoltà economiche e problemi di salute sono stati parte non secondaria del nostro vissuto quotidiano.
Infine, la passione per i libri e per la lettura, una passione soddisfatta anche se mai appagata abbastanza, grazie alle biblioteche ambulanti e a qualche scartafaccio abbandonato incautamente nella spazzatura da gente dallo stomaco troppo pieno per poter pensare di riempire anche cuore e cervello. Questi sono i ricordi che ci legano e che, ne sono convinto, ci hanno spinto e ci spingono a riflettere sui problemi dell’educazione, alla cui soluzione abbiamo cercato di dare il nostro piccolo contributo, ricorrendo non solo al cervello, organo nobile per eccellenza, ma anche ad organi meno nobili quali stomaco e cuore. Ogni volta che lasciamo l’aula scolastica, ci auguriamo che i nostri tentativi, per quanto limitati, goffi o maldestri, non siano stati inutili e che qualcuno tra i nostri allievi possa raccogliere un giorno il testimone di questa ideale staffetta.
Consiglio la lettura di questo libro a tutti quelli che credono nell’importanza e nella necessità di dare e ricevere un’educazione nella vita. A tutti un saluto e un arrivederci tra quelle pagine…