I libri: “Il mestiere di scrivere” di Raymond Carver (Einaudi) – “Lezioni americane” di Italo Calvino (Mondatori)
In quest’epoca frenetica e appannata, nella quale ogni forma di comunicazione avviene all’insegna della sciatteria e dell’approssimazione, potrebbe sembrare fuori luogo qualsiasi discorso che affronti il tema dell’esattezza. Il bello scrivere non è semplicemente una forma residua di snobismo, un rifugio per individui con lo sguardo troppo rivolto al passato. Al contrario, si tratta di una forma di comunicazione alta, capace di reggere al trascorrere inesorabile del tempo e di comunicare, anche in epoche future, i sentimenti e le passioni che hanno guidato e sorretto la mano dell’autore. Chi vuole coltivare l’esattezza deve, sempre e comunque, pagare un prezzo molto alto in termini di tempo e di fatica, necessari non solo per concepire l’opera letteraria, ma anche per scriverla e, spesso, riscriverla, anche più volte. Scrivere non è per niente un’attività facile, di scarso impegno e, soprattutto, leggera, come pretendono quelli che poi hanno difficoltà anche a mettere sulla carta, o in rete, pensieri e riflessioni, fosse anche per scrivere un semplice biglietto di auguri. Presi singolarmente, i testi di cui si parla in questo post sembrerebbero avere ben poco in comune. Cos’è, allora, che lega due libri, apparentemente così distanti tra loro? In primo luogo, entrambi espongono più di una riflessione sul lavoro dello scrittore e sul fine ultimo a cui dovrebbe tendere il suo stile narrativo. In secondo luogo, sviluppano nelle loro pagine un concetto, quello dell’esattezza, che è stato la ragione d’essere della produzione letteraria di entrambi. Entrando nei dettagli, il volume di Raymond Carver si presenta come una raccolta di materiali vari, che vanno da prefazioni ad opere sue e di altri autori, a testi di conferenze, a registrazioni di lezioni sulla scrittura, tutti legati dal filo conduttore di una riflessione intorno all’arte dello scrivere. Carver tiene a sottolineare, in particolare, il fatto che ha sempre prediletto la forma narrativa del racconto breve e questo lo imputa alla sua stessa natura piuttosto pigra, che lo rende incapace di imbarcarsi in un’impresa lunga e complessa come quella di realizzare un romanzo. Aggiunge, però, che ha riscritto più volte gli stessi racconti, fino a dare loro una forma che fosse la più compiuta e soprattutto la più “esatta” possibile. Una forma narrativa dove ogni parola potesse occupare un posto nella frase dal quale fosse impossibile rimuoverla, senza compromettere irreparabilmente l’equilibrio del testo. Le celebri “Lezioni americane” sono, invece, il testo di alcune conferenze che Italo Calvino era stato incaricato di tenere presso l’università di Harvard, lezioni, purtroppo, rimaste sulla carta, a causa dell’improvvisa scomparsa dello scrittore. Quella sul concetto di “esattezza” è una delle cinque lezioni già completate dall’autore e pubblicate postume, quasi a chiosare le scelte stilistiche che traspaiono dalle sue opere. Lo sforzo dell’autore è tutto teso a definire quel concetto che rappresenta la stella polare di tutta la sua opera. “Cosa si intende per esattezza?”, si chiede lo scrittore. La definizione che ne fornisce è, come nelle sue abitudini, non semplicemente teorica ma anche operativa. Dice, infatti, Calvino: “… Esattezza vuol dire per me soprattutto tre cose: 1) un disegno dell’opera ben definito e ben calcolato; 2) l’evocazione d’immagini visuali nitide, incisive, memorabili; […] 3) un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione”. Se adottiamo questa definizione come metro di molte opere letterarie attuali, le giudicheremo del tutto inadeguate a rappresentare il concetto, persino nella sua formulazione minimale. Calvino e Carver sono i sacerdoti della “religione dell’esattezza”, alla quale si sono completamente votati, una religione i cui adepti sembrano, di giorno in giorno, ridursi di numero. Basta dare una rapida scorsa a qualche pagina di uno qualunque dei tanto osannati best sellers del momento. Quanta inesattezza, quanta sciatteria l’autore ha posto nel tradurre in parole e frasi il proprio pensiero! Se poi si entra nel merito della funzione educante della lettura, si capisce quanto possano essere amplificati gli effetti deleteri sulla gran parte dei lettori che, pigri e distratti per natura, finiscono per assuefarsi facilmente ai sapori grossolani di libri malfatti. L’esattezza: grande virtù, che ben pochi autori hanno avuto ed hanno la forza e la volontà di coltivare. Leggere questi libri aiuta a capirne e ad apprezzarne profondamente il senso e la funzione.
6 risposte a LA RELIGIONE DELL’ESATTEZZA