VIALE DEL TRAMONTO

Andrea Camilleri deve essersi un po’ stancato del suo commissario Montalbano. Lo capisco: non deve essere facile per lui dover passare alla posterità per quello che ha inventato Montalbano, dimenticando tutto il resto della sua sempre godibile produzione. Magari preferirebbe essere ricordato come colui che ha riportato in auge uno stile di scrittura che non si rivedeva più dai tempi di Gadda. Uno stile commisto di italiano limpidissimo e di siciliano altrettanto limpido, due lingue a confronto che si intrecciano nel tessuto del racconto senza la benché minima smagliatura. Se mai ce ne fosse stato bisogno, Camilleri ha elevato il siciliano al rango di lingua, riuscendo a diffonderla in tutta la penisola, facendone assaporare la calda sonorità e le mille sfumature che lo impreziosiscono. Onore, quindi, a Camilleri per questa sua operazione culturale di portata inestimabile, della quale piacerebbe vedere altri esiti, con autori di altre regioni che si cimentano in operazioni di riscoperta della funzione unificante dei dialetti. Capisco benissimo, dunque, perché Camilleri si è stancato di Montalbano, e ne dà prova in questa ulteriore avventura del commissario, “La vampa d’agosto”  (Sellerio editore). Montalbano sta invecchiando, è più curvo, goffo, imbolsito. Il suo cervello, un tempo lucidissimo, si fa spesso sorprendere in contropiedi da menti più lucide e più giovani. Il suo intuito vacilla, si smarrisce, non trova più il bandolo della matassa. Con questi primi segnali, Camilleri ci preannuncia il ritiro del suo commissario, il suo futuro pensionamento. E’ un distacco lieve, quasi indolore, un addio ai suoi numerosi e affezionati lettori che, rassegnandosi a vederlo avviato ormai sul viale del tramonto, verseranno meno lacrime al momento del distacco. Coraggio, Montalbano! Il mondo è impietoso, dimentica presto i suoi miti, specie se pensionati. Coraggio, Camilleri! Che aspetti a farlo morire sulla scena e a dargli l’immortalità?

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