La prima regola di un vero lettore è che non dovrebbe mai leggere un best seller. Questa categoria di libri va trattata un po’ come il vino di incerta provenienza: lasciarlo invecchiare. Se è buono, col tempo migliorerà, altrimenti si dovrà buttare nell’aceto. Confesso che, pur avendo opposto una strenua resistenza, alla fine anch’io ho dovuto capitolare. Questo perché la seconda regola del lettore è, purtroppo o per fortuna, la curiosità, che lo costringe a tracciare cammini tortuosi che congiungono, spesso senza alcun senso, gli autori e i libri che è solito leggere, non importa se in sequenza o in parallelo. Insomma, vuoi per la curiosità, vuoi per una certa passione per il thriller a sfondo storico, vuoi anche per il Natale, accompagnato dalle relative strenne particolarmente gradite se sotto forma di libri, alla fine mi sono ritrovato sotto gli occhi “Il codice Da Vinci” di Dan Brown, che mi ha tenuto impegnato, vista la cospicua mole, per diversi pomeriggi. Perché, a dirla tutta, a me piace gustare la pagina che leggo, non semplicemente sorvolarla con gli occhi, utilizzando quell’assurda tecnica chiamata lettura veloce. Ma, più mi inoltravo nella lettura, più avvertivo un sapore di insalata scondita che proveniva da quelle pagine. Nemmeno la storia è risultata così avvincente come mi attendevo: non era affatto una novità assoluta, ma piuttosto una specie di riscrittura, attualizzata e più romanzata di un libro che avevo letto almeno una decina di anni fa, “Il santo graal” di Leigh e Baigent, nel quale tutta la vicenda di Gesù e della Maddalena, con le relative implicazioni, era narrata diffusamente. Era anche evidenziato il collegamento di questa vicenda con quelle dei templari e adombrata, ma neanche tanto, la nascita di una società segreta, della quale Leonardo sarebbe stato gran maestro e che nel romanzo di Brown ha un ruolo di primissimo piano. Se tutto questo, alla lettura del libro sul graal, era parso alquanto romanzesco, adesso assumeva l’aspetto di un romanzo al cubo. Insomma, che dire? Ho portato a termine la lettura quasi per dovere “professionale”, ma il piacere che ne ho ricavato è stato veramente modesto. Questa fatica è servita solo a riconfermare la validità della prima regola del vero lettore, se mai ce ne fosse stato bisogno. Leggetelo, dunque, questo romanzo al cubo, se avvertite il bisogno di una vera evasione e di una lettura facile. Altrimenti, lasciate perdere.
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