“Problemi con le rime” di Luca BIANCARDI – Bertoni Editore
Non si considera un’operazione semplice, né tanto meno banale,
riuscire a inventare, al giorno d’oggi, una modalità originale di
comunicazione, specialmente in ambito poetico, senza evitare di
scivolare, o a volte persino affondare, nel barocco o
nell’artificioso. D’altra parte, chi decide di dedicarsi alla
scrittura, con l’obiettivo implicito di sottoporsi all’attenzione e,
di conseguenza, al giudizio critico di un pubblico, amerebbe trovare
un modo per emergere tra la moltitudine indifferenziata dei tanti che
quotidianamente prendono in mano una penna o cominciano la loro
avventura, schiacciando i tasti di un computer. Perché di scrittori
o aspiranti tali se ne incontra una quantità assai numerosa, la più
variegata, la più complessa e la più strana possibile.
Luca Biancardi risolve il problema – mi si passi il bisticcio di parole – consegnando ai lettori i suoi “Problemi con le rime”, un testo che rappresenta, a partire dal titolo, un vero e proprio invito alla riflessione e all’introspezione, oltre che una sfida alla soluzione degli enigmi. Limitandosi a un rapido sguardo alla copertina, così gremita di numeri, e a una semplice occhiata al titolo, il lettore, memore dei propri trascorsi scolastici, tra i quali quello di avere avuto con la matematica un rapporto decisamente conflittuale, potrebbe concludere frettolosamente che, infine, quel libro non rientra fra i suoi interessi. Conclusione decisamente affrettata e anche erronea. E qui sarebbe appena il caso di sottolineare che quel conflitto, in realtà, non lo ha avuto con la matematica, di per sé metafisica e concettuale, quanto piuttosto con chi si era assunto il compito di insegnargliela, e che, alla fine, subissandolo di regole astruse ed esercizi ai limiti del sadismo, ha finito invece per fargliela odiare. Così, il timore che aprendo quella copertina si potrebbe trovare di fronte ad uno di quegli esercizi di “sadismo computatorio” che gli sono stati propinati a scuola, gli impedirà di andare oltre l’avere preso in mano il libro; anzi, il potenziale acquirente si precipiterà a riporlo sullo scaffale, dal quale l’aveva appena tolto per dargli un’occhiata, con la stessa rapidità con cui lascerebbe cadere di mano un ferro rovente.
Si tranquillizzi, tuttavia, l’aspirante lettore, e se davvero vuole sincerarsi sulla verità di quanto andrò a dire, apra quella benedetta copertina e cominci a sfogliare le pagine, perché l’intenzione dell’autore non è quella di infierire in corpore vivo, semmai di divertire e stimolare la curiosità di chi legge quelle parole e quei versi. Tanto per continuare a tranquillizzare l’ormai quasi rassicurato lettore, il percorso che Biancardi farà intraprendere a chi avrà la pazienza di seguirlo non somiglia affatto a quel procedimento che hanno tentato di farci imparare a scuola (dal problema alla soluzione per arrivare al risultato), semmai al suo contrario (dal risultato alla soluzione per tornare al problema), un procedimento quest’ultimo che ha il potere di sollecitare e solleticare la fantasia e l’intuito di chi legge. A fronte di ogni testo poetico, si troveranno collocati uno o più numeri, il cui significato è strettamente legato al testo e da esso derivante, ed è questo l’enigma da sciogliere.
Detto, quindi, delle particolarità e dell’originalità del volume, entriamo nel merito del cosiddetto “valore” poetico, perché infine si tratta di componimenti di poesia in senso stretto. Durante la lettura, si mostreranno ai nostri occhi versi brevi e frammentati, quasi rapidi colpi di pennello, per accennare e suscitare il disegno che si rivela dentro e oltre la sequenza delle parole. Perché ogni testo, specialmente quello poetico, ha il potere di fare apparire immagini, a volte già a partire dal titolo. Molte le poesie dedicate agli oggetti di uso comune, che appaiono come umanizzati, altre che fanno riferimento a stati d’animo con titoli che anticipano il contenuto e quasi mai se ne discostano. A ritmo serrato, quasi a schiocchi di frusta, Biancardi, come un abile domatore di parole, le costringe ad allinearsi e ad assumere ciascuna un senso che si compie e si completa in perfetto accordo con le compagne.
Tra le tante liriche, ho voluto procedere alla scelta di alcune, quelle che mi hanno colpito particolarmente, fermo restando che ogni scelta è dolorosa perché, includendo qualcosa, costringe ad escludere qualcos’altro. Ho trovato di particolare interesse il componimento “Lancette di orologio”, che affronta il tema del tempo sempre inseguito e mai raggiunto, tanto che non lo si vedrà mai in faccia; di lui non possediamo una vera immagine che lo connoti, ma soltanto un’idea vaga e generica. Altro componimento pregevole, “Possibilità con paradosso”, in cui, nel confronto serrato, direi quasi scontro, fra numeri e parole, viene immaginata la sconfitta di queste ultime, così che la parola “amore” cede il posto al numero “infinito”. Né è da trascurare la lirica “Caffè”, in cui un mezzo usato per umanizzare il rapporto con la quotidianità, diventa metafora della possibilità di cancellare col il forte sapore (ma anche con il nero colore) “macchie di delusioni / ombre di depressioni”, in un gioco tra il visivo e il gustativo. E poi, “Un foglio di carta”, presentato come un avversario temibile per chi scrive, in impassibile attesa che qualcosa venga a turbare il suo candore; un foglio di carta strappato, lasciato andare al vento, che, inconsapevole, trasporta parole, anzi, la parola per eccellenza: amore. Quindi, la lirica “Parole”, onnipresenti ovunque nel cosmo e intorno a noi, che invitano ad essere colte, afferrate e trasportate sulla carta, oppure fotografate, come se ci si limitasse a riprodurle così come sono. Parole che occorre poi organizzare per dare loro un senso ed è questo il compito precipuo di chi scrive.
Di particolare contenuto emozionale anche la lirica “Vivi e morti” che ricorda la terra popolata da sette miliardi di vivi, accanto ai quali sono presenti anche i morti, in una commistione tra il visibile e l’invisibile – “la voce del vivo / si mischia / al discorso del morto – e ciascuno, ben oltre quei sette miliardi, lascia anche una minima traccia del suo passaggio.
Infine, ma non perché si esaurisca l’interesse nella lettura di questi coinvolgenti componimenti, “Estate”, un ricordo d’altri tempi, un ricordo felice dell’autore “giovane ragazzo”, che mostra e fa comprendere l’impossibilità di tornare indietro ma che, al tempo stesso, è utile e necessario a vivere e ad andare avanti. L’invito alla lettura e alla rilettura, quest’ultima con la maggiore attenzione possibile, è scontato, ma anche necessario e doveroso, indotto dalla necessità, e si auspica anche dal desiderio, di risolvere l’arcano dei numeri presenti sulla pagina a fianco e del loro collegamento logico con le parole del testo poetico. Una serena lettura!